domenica 17 aprile 2011

Claudio Di Scalzo detto Accio: Situazionismo e marxismo eterodosso. Ribellione e Rivoluzione (2007)

    

CDS: "Nuvoletta situazionismo in scatoletta"
Il gallerista Roberto Peccolo al pc per illustrare con immagini il dibattito





Claudio Di Scalzo

SITUAZIONISMO E MARXISMO ETERODOSSO.
OVVERO RIBELLIONE E RIVOLUZIONE

Appartengo a una generazione che ha conosciuto il dipanarsi degli estremismi d’indirizzo comunista e marxista. Ho militato, in Lotta continua, giovanissimo, dalla fondazione fino al suo scioglimento nel 1977, e il mio romanzo epistolare, “Vecchiano, un paese. Lettere a Antonio Tabucchi”, pubblicato da Feltrinelli, racconta anche una piccola sezione di questo movimento in un paese della Toscana che guarda il mare e la pineta fra il Serchio e l’Arno. Il titolo di questa comunicazione, alla vostra LIBERA ACCADEMIA DI BELLE ARTI qui in Brescia, ha dunque un legame con le mie conoscenze di politica e con quelle successive di nomade nell’arte, in modo atipico, e nella letteratura. Oggi credo che se il movimento rivoluzionario, in Italia come in Francia, non ha prodotto risultati è perché le idee estetiche del marxismo eterodosso incarnato dal Situazionismo e in parte da ogni avanguardia artistica, non ha trovato eco nei programmi di cambiamento della società espressi dai movimenti rivoluzionari. Ricordo benissimo che anche in Lotta Continua (organizzazione senza basi dogmatiche come erano invece il Manifesto o Avanguardia operaia o Potere Operaio) se abbandonavamo il realismo di Siqueiros, complice nell'assassinio di Trotskij, era per esaltare Orozco. Non certo per leggere e dibattere i testi situazionisti che fecero la loro comparsa, in Italia, nel 1977, quando LC era ormai solo un giornale e non più un partito essendo stato sciolto da Adriano Sofri. Che se ha una responsabilità è quella di non aver creato dirigenti che avessero anche qualche conoscenza dell’arte volta al cambiamento della vita quotidiana. Dicevo della mia presenza qui, che non è soltanto di testimonianza, o per raccontare una sintesi dei rapporti fra situazionismo e politica rivoluzionaria marxista, ma - essendo direttore di un giornale on line: TELLUSfolio da me fondato nel 2005 (direzione cessata nel 2009, NdR) - anche per indicare nel web una frontiera dove l’arte, vaticinata da molti teorici del Situazionismo, può trovare spazi ampi di creatività e di impegno anche politico.

Esprimo poi la convinzione che il marxismo e il comunismo, con i suoi gruppi minoritari, i suoi dogmatismi, le sue biografie ed epocali tragedie, altro non sia che un romanzo avventuroso o un poema da scrivere.

Su carta o su pagine elettroniche a questo punto.
Insomma c’è tanto da inventare, a volerlo, se teniamo d’occhio una pratica del piacere e del ludico andando oltre le mode dell’effimero capitalistico e della carambola delle merci.






PRIMI SQUARCI NEL MONOLITE STALINIANO

Consegnati alla storia e ai cinegiornali opportunamente silenziati i "fatti d’Ungheria", lo stalinismo, l’Unione Sovietica, le democrazie popolari non avevano agli occhi dell’estrema sinistra francese più alcuna credibilità e anche le sintesi trotsckijste sulla burocrazia degenerata, con quel tanto di ambiguità che proponevano non interessavano più come gli anni precedenti. Il XX Congresso apparve ai più vigili marxisti un punto non tanto di svolta verso una maggiore democrazia nei partiti a struttura bolscevica occidentali, bensì l'occasione per ripensare la teoria e la prassi rivoluzionaria. Intanto venne riconosciuta come caduca ogni ipotesi di crollo del sistema sulla scia del radicalismo Trotskjista annunciato nel Programma di transizione del 1938 e messa in discussione, oltre ogni imbalsamazione, il precetto che fossero sempre e comunque le contraddizioni economiche l’origine di qualsiasi cambiamento. Affermare, bisognava, che la sola collettivizzazione della produzione non era adatta né tantomeno sufficiente a liberare l’uomo e lo sfruttato. L’alienazione tiranneggiava a New York come nella fabbrica di pistoni a Mosca.

Corollario a questa conclusione era che bisognava stilare un programma rivoluzionario atto a contemplare un’analisi approfondita delle nuove forme di alienazione e non accontentarsi delle formule basate sul Saggio del profitto espresse nel Capitale, casomai di rileggere gli scritti più giovanili di Marx dove la questione del feticismo delle merci era adombrata come centrale. Se poi diventa basilare la critica all’alienazione, compito dei rivoluzionari è quello di sviluppare una serrata Critica della vita quotidiana. Questo era l’unico squarcio possibile nel monolite staliniano da tentare. Tale Critica è una reazione completa ad ogni dogmatismo staliniano ma anche alla versione più soft kruscioviana o alle fievoli destalinizzazioni nei partiti comunisti occidentali francesi e italiani. Henri Lefebvre autore della Critique de la vie quotidienne, e mi riferisco alla seconda edizione del 1958, sottolinea che gli intellettuali di sinistra, nell’immediato dopoguerra, sono totalmente incapaci di offrire soluzioni teoriche alla mutata situazione di dominio del capitalismo uscito dalla seconda guerra mondiale. E allargando e storicizzando basta vedere i prodotti teorici, ora giustamente visti come complessivamente caduchi, nella cultura italiana a partire dal Politecnico di Vittorini del primo dopoguerra fino a Franco Fortini infatuato dal maoismo. Non a caso quest’ultimo diventerà uno dei fari della nuova sinistra negli anni settanta perché ingentiliva il dogma marxista di umanesimo e letterarietà ma condannando gli esiti del surrealismo e dell’avanguardia, rendeva impraticabile la comprensione degli eventi nella cultura e nel capitalismo intervenuti sotto la pressione dell'americanizzazione di ogni società occidentale. Insomma il brechtismo e il canto della tradizionale lotta di classe poteva valere nel terzo mondo ma non certo nell'occidente che doveva fare i conti con la Coca cola e con i supermercati. Altro intuito quello di H. Lefebvre. Quest'ultimo aveva pubblicato il suo testo fondamentale in prima edizione nel 1947, e attorno al concetto di Modernité ribadiva che il mondo moderno è quello della produzione accumulata dove ogni abbondanza viene profilata all’orizzonte. E questo è il progetto utopico da proporre ai proletari-consumatori. La produzione cumulativa di merci, i progressi della tecnica e della tecnologia. suffragati dalla scienza impongono uno scarto insanabile tra il settore della tecnica produttiva e quello della vita privata. La vita privata si affida sottomessa a questi progressi, incapace di comprenderne gli esiti, l’alienazione raggiunge il suo culmine, e l’uomo diventa conformista mentre innalza peana al modernismo fine a se stesso. Del quale spera di far parte.
Henri Lefebvre individua poi una linea (che a partire dalla sua descrizione avrà anche notevoli semplificazioni fino al cliché) e cioè che a contestare la tecnica sono i romantici tedeschi, ma lo fanno idealmente, sovrapponendo al reale vissuto un immaginario vissuto nel pensiero. Poi tale intuizione, però difensiva, è continuata da Rimbaud e Lautremont e saranno il dadaismo e il surrealismo ad attraversare il linguaggio alienato; però tale proseguo attuato ulteriormente dai surrealisti è stato fatto prigioniero nella realizzazioni di opere d’arte succubi d'un accademismo fuoriluogo. Lefebvre individua anche una qual certa mondanità dei surrealisti come fatto negativo.


DI INCUBAZIONE IN INCUBAZIONE FINO ALLE TEORIE DI GUY DEBORD

La data emblema per la storia delle avanguardie e della sinistra radicale è il 1946. Isidore Isou, di origine rumena come lo era Tristan Tzara, proporrà con il Mouvement lettriste una sorta di creatività totale. Dentro questa cerchia, anche per analisi successive di biografie ed esiti politici, crebbe il nocciolo della contestazione radicale di sinistra contro la cultura della classe dominante. Infatti nel 1952 alcuni autori provenienti dal dialogo-contrasto con Isou fondarono nel 1952 l’Internationale lettriste (rompendo con Isou afflitto dalla sindrome papale) e con il détournement e il progetto di un urbanesimo liberatore spostarono l’accento sopra elementi fortemente contestativi dell’assetto politico-culturale. Più tardi dalla fusione dell’Internationale lettriste con altri gruppi d’avanguardia, nascerà nel 1957 l’Internazionale situazionista. La chimica aggregante di personalità fortemente estroverse e anche narcisistiche fa la sua parte. Ora c’è la formula, anche organizzativa, per analizzare e smontare il mondo moderno con una serrata critica della vita quotidiana.
In questo coacervo accanto alle idee di Lefebvre circolano abbondantemente anche richiami al metodo della critica marxista e a Lukacs. Per l’Internazionale Situazionista la vita nel moderno viene ridotta a sopravvivenza (cioè il vissuto è dominato dai talloni economici). La società occidentale è una società basata sul quantitativo e sul consumabile. Il consumo e la sopravvivenza sono assicurati dal welfare state: è la sola esistenza permessa, e solo ciò che è permesso vi è realizzabile. Questa asserzione è una sintesi che proviene dalla lettura di due testi fondamentali del Situazionismo, vere e proprie bibbie del pensiero radicale e comunista eterodosso: La societé du spectable di Guy Debord, pubblicata nel 1967, e il Traité de savoir vivre à l’usage des jeunes générations, di Raoul Vaneigem uscito sempre nel 1967, a cui vanno aggiunti i 12 numeri della rivista Internationale situationiste. Per i situazionisti la società che corrisponde all'economia dei consumi è quella che è succeduta all'economia di produzione. La nuova società è caratterizzata da una produzione sfrenata di merci. Ma questa produzione accumulata, malgrado le ricchezze sparpagliate sul globo, non permette che l'economia trasformi il mondo in qualcosa di diverso da un mondo dell'economia. Qui si attinge a quella capacità che già in Marx era presente: connotare con un linguaggio anche paradossale i passaggi dell’assurdo nel sistema capitalistico. L'arricchimento può dar luogo solo ad una sopravvivenza incrementata, ma non sposta i vissuti sul qualitativo.
Perché l'estrema quantificazione degli scambi riduce l'uomo ad un oggetto, e banalizza la vita quotidiana: spazio e tempo sono stati unificati dalla produzione capitalista in una “monotonia immobile”, afferma Debord. Ciò giunge fino al turismo, che imita la circolazione delle merci con i suoi “tutto compreso”, i suoi itinerari pianificati, i suoi divertimenti fittizi. L'urbanesimo configura in modo concentrato l'identificazione della vita con un puro spettacolo, in sintesi un’esistenza monotona dove la fantasia è l'eterna sconosciuta.
Il decadimento e la decomposizione della vita quotidiana corrispondono alla trasformazione del capitalismo moderno. Nelle società di produzione del XIX secolo (la cui razionalità era l'accumulazione del capitale) la merce era divenuta un feticcio poiché era vista come raffigurante un prodotto e non un rapporto sociale. Nel secondo dopoguerra tutti i rapporti sociali sono modellati sul consumo e tutti stanno dentro la rete della “razionalità” dello scambio di merci. In questo modo il vissuto si è dileguato progressivamente, giorno dopo giorno, (figuriamoci oggi nell’epoca di Dolce & Gabbana e della pubblicità televisiva e web), in una rappresentazione tutto è rappresentazione. E questo fenomeno economico-sovrastrutturale del capitalismo uscito dal secondo conflitto mondiale e poi sviluppatosi negli anni cinquanta-settanta viene definito dai situazionisti - in primis da Debord che ha coniato questo fenomenale accostamento - Società dello spettacolo. Lo spettacolo dilaga quando la merce occupa totalmente la vita sociale. Come conseguenza in un’economia della merce e dello spettacolo alla produzione alienata (individuata da Marx nel Capitale e nei Grundisse) si aggiunge il consumo alienato. L’escluso moderno, lo sfruttato ad ogni latitudine, il proletario di Marx è diventato non solo il produttore separato dal suo prodotto quanto il consumatore. Il valore di scambio delle merci ha finito per dirigere il loro uso. Il consumatore in occidente è diventato il consumatore di illusioni sempre più a basso costo.
Quanto questa analisi-profezia sia stata veritiera è sotto gli occhi di ciascuno. Come in orribili pollai hi-tech, i polli-uomini, sotto la luce accesa in modo perenne della pubblicità e dei bisogni imposti, beccano inutili granaglie multicolori siano essi tessuti, o auto, o cibo vero e proprio
Sorprende invece che da allora, dal libro di Debord, la sinistra rivoluzionaria o il marxismo radicale non abbia offerto ulteriori contributi per una prassi comunistica di cambiamento.
I situazionisti intuirono e capirono chiaramente che la società dello spettacolo, insediata nelle economie occidentali, si sarebbe poi estesa ai paesi sottosviluppati che pur non avendo la base materiale di tale organizzazione sociale avrebbero imitato le tecniche di spettacolo dei loro ex colonizzatori. (Ci sarebbe da sorprendersi se Che Guervara, nel 1967, in Bolivia, fosse stato tradito da un indios solleticato da un giocattolo di plastica per i suoi figli o da una cassetta di Coca Cola?). Ad ovest la vita viene-veniva regolata dal quantitativo di merci posseduta e ad est stava montando la ribellione contro i regimi post staliniani per avere anch’essi la società dello spettacolo. “Non c’è nient’altro di misurabile se non l’oggetto, perché lo scambio reifica”, afferma sapienziale Vaneigem nel libro ricordato. Il passaggio successivo, che smonta-smontava ogni accusa di francescanesimo pauperista a carico dei situazionisti, è la definizione di “Gestione totalitaria” della vita quotidiana e dei consumi. I situazionisti non dispregiano i beni di consumo. Rilevano, in modo veramente comunista, che non è il loro consumo a produrre alienazione bensì la scelta condizionata proposta e l’ideologia che ci sta dietro. Questa è la gestione totalitaria volta a modellare anche i modi di comportamento. Insomma i jeans sono un atto di libertà indossarli, ma se uno stilista decide la cintura bassa con le natiche esposte, e lo impone da San Francisno fino a Calcutta, questo è totalitarismo.
Serve allora sottolineare che i situazionisti hanno tirato a sé il Marx dei Manoscritti economico-filosofici (quelli che Althusser voleva fossero dimenticati e siccome Althusser influenzò moltissimo la nuova sinistra francese e italiana ciò la dice lunga sulle cantonate poi avute in materia di programmi rivoluzionari) usando gli argomenti sulla reificazione e la feticizzazione e concentrando l’attenzione su quella parte de Il Capitale di Marx, veramente la più suggestiva e proficua - del Libro I, sezione I, IV - titolato: “Il carattere feticcio della merce e il suo segreto”. Se non avessero aggiunto qualcosa, non saremmo qui a parlarne, vediamo dove vanno oltre una semplice esegesi. Diventando marxisti eterodossi, libertari, con forti venature anarchiche e contestative, e per alcuni rientranti nell’utopismo comunista. Fourier ed Owen annuiscono?

L’UNIVERSALIZZAZIONE DI OGNI SEPARAZIONE

I situazionisti ampliano la separazione che per Marx era circoscritta al mondo della produzione a tutta la realtà sociale: divisa in realtà e miraggio. Tra l’individuo e le sue opere, tra l’individuo e i suoi desideri e i suoi sogni si frappone una quantità enorme di mediazioni alienanti. In una società tardo capitalistica il potere di organizzare i desideri e i consumi sostituirà il potere di sfruttare. Anche alcuni “padroni” diventeranno parti sfruttate di questa organizzazione del vissuto. Se si guarda all’economia parcellizzata di oggi, credo avessero visto giusto. In che ruolo sta la fabbrichetta del Veneto con la più grande a Hong Kong o in Germania. Naturalmente queste analisi dei situazionisti miravano ad organizzare una diversa prassi rivoluzionaria del proletariato inserendosi nelle contraddizioni rilevate nella società.
Schematizziamo. Anche se questo diventa il nocciolo della mia comunicazione e cioè il rapporto fra arte d’avanguardia e sinistra rivoluzionaria radicale.
La grande contraddizione che sabota la società dei consumi nasce dal fatto, acclarato, che la produzione cumulativa ha scatenato forze che sopprimono le necessità economiche. La razionalità interna del sistema necessita uno sviluppo economico infinito e soltanto il quantitativo ed il consumabile sono lasciati all’individuo. Saturati i bisogni primari si fabbricano degli pseudo bisogni (la seconda auto, la TV più perfezionata, l’oggetto del tutto inutile ma bellamente colorato). Questo processo porta alla degradazione della vita quotidiana. Però nello stesso tempo gli immensi progressi tecnici fanno intravedere mondi nuovi, soddisfazioni inedite. Analogamente la critica della vita quotidiana, a un primo stadio, si realizza, o dovrà realizzarsi, secondo i situazionisti (e sia chiaro che io sto riassumendo anche una sconfitta di programmi altamente praticabili, ma poi senza seguito nel movimento operaio) dall’interno. Henri Lefebvre parlerà del “reale mediante il possibile” nella Critique de la vie quotidienne ricordata.





COME OPPORSI SE LO SPETTACOLO ABITA L’OPPOSIZIONE PROLETARIA?

L'ampiezza e la localizzazione di questa critica interna, come sempre in affari di programmi rivoluzionari, muteranno negli accenti. Lefebvre dà prova di ottimismo quando afferma che nel piacere e per mezzo di esso l'uomo moderno si rivolterà contro la rottura e la banalizzazione della vita quotidiana. I situazionisti, invece, credono che anche i piaceri come tali siano alienati e che anch'essi devono essere contestati. C'è tuttavia accordo sul nucleo della contraddizione inerente alla vita quotidiana: in essa le forme di vita entrano in conflitto con il proprio contenuto; c'è separazione tra forma e contenuto.
Questa contraddizione produce-dovrebbe produrre una coscienza della separazione, un malcontento, e una prassi rivoluzionaria adeguata. Ma qui nasce una difficoltà: l'opposizione alla classe dominante non è facile, poiché anch'essa è mistificata. Lo spettacolo ha invaso non solo la società, ma anche la sua contraddizione: (e dialetticamente misurando) l'opposizione è divenuta anch'essa spettacolare (ideologica nel senso marxiano). In altre parole, accanto all'accettazione pura e semplice da parte della maggioranza piccolo-borghese, c'è anche una rivolta solamente contemplativa. Essendosi l'insoddisfazione fissata in merce, l'insoddisfatto fa fatica ad uscire dal suo ruolo di insoddisfatto. Infatti la civiltà della tecnica, mentre mette all’ordine del giorno, la felicità e la libertà, inventa l’ideologia della felicità e della libertà, cioè due essenze che sono esattamente all’opposto del loro vero significato. Afferma Vaneigem che l’uomo moderno che si diverte non è veramente felice, recita una parte che gli è stata imposta inconsciamente: risponde ad uno stereotipo. Se sfogliamo i giornali oggi quanti saranno i guai creati dalle discoteche che chiudono all’alba, quanti i corpi straziati sulle autostrade frutto di un esibita felicità forzata?
La concezione situazionista era veramente una scheggia di pensiero radicale totale, assolutamente distante da ogni altra esperienza comunista e marxista. C’è un andamento utopistico millenarista perché pretende di cambiare la vita dell’uomo sulla terra verso una felicità possibile, libera, gratuita, creativa. L’unica ortodossia presente - che evidentemente creerà problemi in futuro viste le modifiche rapide nelle classi sociali - sta nel ribadire che il proletariato resta il soggetto rivoluzionario. A smussare la rigidità di questo programma compare l’affermazione (in Internationale Situationiste, 7, aprile, 1962) che il proletariato visti i ritmi delle modernizzazioni tecnologiche sarà molto vasto fino ad includere settori tradizionalmente esclusi. Ad esempio fasce di dirigenti dei processi produttivi. Ora potremmo identificarli in tutti colori che passano le otto ore davanti ad un pc acceso o un telefono. A questo variegato mondo di sfruttati in progress, anche con la camicia stirata, si riferisce Guy Debord quando parla di “classe storica allargata a una maggioranza di salariati”. (Le commencement d’une époque, in Internationale Situationiste, 12, settembre, 1969). Il vaticinatore sulla modernità Guy Debord aveva lo sguardo roteante dei visionari presi dall’ebbrezza di sentire le piaghe e il caramello del mondo: appartengono al proletariato tutti coloro, immensa maggioranza, che hanno perso ogni possibilità di modellare la propria esistenza! e sia lasciata da parte ogni preoccupazione per la vividezza della tradizionale falce contadina e per il martello operaio: contadini scomparsi e operai d’officina intruppati nei servizi e poi nelle professioni intellettuali e poi saranno coloro che nella società dello spettacolo potranno agire per la liberazione!


PROLETARIATO IN CERCA DI COSCIENZA DEL PROPRIO DIVENIRE

Il proletariato realizzerà l’abolizione delle classi - e intanto risuonano le pagine in rosso turgore del Manifesto del partito comunista - non perché è proletariato – perdinci! – ma perché è l’unico soggetto storico che può innalzarsi alla conoscenza della propria alienazione. Messo in mora lo schematismo del vecchio Marx e del Lenin bolscevico - qui siamo nell’occidente dove compaiono le prime lambrette e i surgelati - e viene ripescato il Lukacs di “Storia e coscienza di classe” che tanto aveva tribolato, per autocritiche varie, e rimosso questo suo saggio. Soggettivismo al primo posto: senza tanti fronzoli: il proletariato avrà il potere divenendo coscienza completa di classe. Allora forza! proletariato occidentale, si lanciano i situazionisti: hai un ruolo storico, giocalo, ovunque, dis-aliena l’umanità. Compito urgente ma difficile. L’alienazione è sociale. Diffusa. Parcellizzata. Il proletariato dovrà abolire tutte, dico tutte!, le alienazioni. Oltre Lukacs e i suoi tentenanmenti patetici di fine vita. (R. Vanegeim: Banalité de base, Internationale situationiste, 7, aprile 1962.
In questo slancio, votivo e votato sappiamo ora al fallimento, il proletariato avrebbe avuto bisogno della dialettica: per innalzarsi alla conoscenza di ogni alienazione, e in particolare di quella più mostruosa-caramellosa: l’alienazione dello spettacolo. Dunque se non sei dialettico, o proletariato, diventalo. E per carità mettiamo da parte la favola della coscienza portata dall’esterno cara ai bolscevichi più o meno mianiaturizzati in occidente: Sartre compreso fino ai gruppi neo-maoisti.


SUPREMA RIVOLUZIONE FAI DELL’ARTE LA REALIZZAZIONE: Il ’68.

Nel contrapporsi al leninismo in servizio permanente effettivo nella sinistra europea (ufficiale o estrema), i situazionisti bruciano febbri anarchiche. Evidenti. Ma ci sono pur sempre differenze. Troppo ideologia ottocentesca negli anarchici, troppo economicismo con questa sempiterna storia dello sciopero generale economico a non finire! Debord striglia anche l’anarchismo storico. Sapienzale ed enciclopedico sempre. Il rifiuto globale anarchico deve avere per meta l’atto supremo: la realizzazione dell’arte. Arte di vivere anche oltre ogni ideologia. Totalmente desiderante all’infinito. (Internationale situationiste, 1 giugno 1968, in Notes éditoriales) L’arte è il settore più alienato e capovolgerlo, rivoluzionarlo, impossessarsene è fondamentale per il proletariato in rivoluzione!
Ecco allora i giovani. Basta con le attese per diventare marxisti adulti. Dalle organizzazioni giovanili a quelle sale e pepe. I giovani sono la base della contestazione sociale. Ma a questo punto è difficile seguire il rapporto giovani-situazionismo: ci sono o provos olandesi e i blousons noir. In più i situazionisti accettano e condividono e spingono per lotte “delittuose”: sfrenate: scioperi selvaggi, lotte anche antisindacali, sabotaggio della politica tradizionale, rivolta continua anche senza motivi apparenti. Qui si coniuga il millenarismo con l’arte d’avanguardia. E alcuni hanno ravvisato in queste tendenze sessantottine l’influsso del gruppo di Socialismo e Barbarie. Che cito di striscio.
Ma se la rivoluzione è sempre fallita, ovvio che va re-inventata. La proposta dei situazionisti è: mettiamo la molla alla contestazione globale del capitalismo moderno. Questo è l’asse di ogni radicalismo comunista presente e futuro. (Guy Debord, come al solito in anticipo ne aveva parlato nell' Internationale Situationiste, 6 agosto, 1961).
La contestazione globale, o detto meglio totale, consiste in una moltitudine di atti spontanei tendenti a modificare radicalmente lo spazio-tempo imposto dalla classe dominante. Questa rivoluzione, il suo progetto in attesa di chi ne faccia prassi quotidiana, non aspira solo alla presa del potere o ad un rinnovamento di classi dirigenti: Macché!: occorre sopprimere il potere in quanto tale e realizzare l’arte che è l’obiettivo finale. La realizzazione della poesia. che ne sarà anche il superamento, esige il riconoscimento dei propri desideri (negati nella società dello spettacolo o scheggiati in tanti puzzle di pseudobisogni finti): la parola libera, la comunicazione vera (non più unilaterale o manipolata) il rifiuto del lavoro produttivo, il rifiuto della gerarchia, di ogni autorità, di ogni specializzazione.
E, colpo di scena!, atteso da secoli...
L’uomo liberato non sarà più l’Homo faber, ma l’artista, il creatore delle proprie opere. (Internationale Situationiste, n. 12, Le commencement d’une époque) La rivoluzione diventerà un atto di affermazione della soggettività di ciascuno dentro un movimento collettivo - bello nevvero?, da lacrime agli occhi! - sul terreno della cultura, che è il terreno più vulnerabile della civiltà moderna.
Questa debolezza l’hanno rivelata i profeti i cui nomi i situazionisti tengono sulla testiera del letto: Lautremont e Rimbaud. I primi a sabotare la cultura ufficiale rivelandone l’intima debolezza. Lo stato di decomposizione. Anche se poi sarà la gamba di Rimbaud a decomporsi e il libro di Lautreamont rischierà di svanire in qualche sottoscala come le sue foto. Ne esiste una sola.
I nipoti di questi illustri progenitori, radicalmente rivoluzionari comunisti come si deve, dovranno inventare mentre rivoluzionano il mondo un nuovo linguaggio, da vera rivoluzione culturale che accende la propulsione all'Essere. Altro che i libretti dei cinesi con il Mao pensiero!
L’obiettivo è andare oltre i distruttori di linguaggi che poi si sono beati della loro bravura iconoclasta come i dadaisti e i surrealisti. E poi perché dirigersi verso il surreale?, è sempre una via di fuga da evitare, bisogna al contrario integrare il meraviglioso nel quotidiano. Perché la vita diventi arte di vivere bisogna che l’arte invada la vita!


PER FAVORE DITEMI PERCHE’ L’ARTE E' TANTO CENTRALE

L’arte ha un ruolo centrale anche nel suo superamento nel processo rivoluzionario, perché l’attività artistica permette la partecipazione dell’individuo al mondo: l’arte è sempre stata la forma più alta di lavoro creativo. L’individuo si può liberare solo se l’arte cessa di essere attività specializzata, se cessa di essere un’attività reificata sotto forma di merce.
Slogans base del radicalismo comunista sfebbrato nell'estetica: ora e sempre: Gli uomini saranno felici il giorno in cui saranno tutti artisti.


CONTRO OGNI ESTETISMO E ARTE SEPARATA

Tra la creazione estetica e lo stile di vita libero artisticamente creativo, la società dello spettacolo ha posto una mediazione (a volte insultante, altre sublime): l’opera d’arte in quanto ricerca d’estetismo. I situazionisti hanno iniziato la loro attività di contestazione alla fine degli anni cinquanta (era il 1957, il lontano 1957 e fumava ancora Budapest e oscillavano la corda degli impiccati, e in Indocina contro gli imperialisti francesi era resistenza e si concludevano i grigi incontri tra arte astratta o realistica in Italia), e prima ancora come targati lettristi, con un attacco completo e a gamba tesa ad ogni estetismo, ad ogni arte separata. In questo cosciente ed eroico sabotaggio, votato al nulla diciamo oggi, hanno inventato una serie di procedimenti corrosivi: il détournement (anch’io, in ritardo, ci ho provato, vedere in calce, prego, queste invenzioni mai pubblicate. Mentre la fotografia di copertina è comparsa sulla rivista L'Immaginazione nel 1981) la guerriglia sui mass-media, la creazione di vignette e di film situazionisti. Ma la loro arma di base, la più elettrica, a voltaggio mortale, resta la critica con la penna: lo stile situazionista ha raggiunto un stile coeso, fiammeggiante, e riprende calchi dal linguaggio hegeliano e marxista, e alcuni elementi dadaisti, e cioè rapida dizione verbale, parole usate in senso diverso, ma soprattutto lo sfarinamento nei testi di dosi massicce di ironia. Lo stesso faccio io oggi verso gli stessi situazionisti, si è capito? La critica deve colpire ai fianchi tutti quelli che non vogliono il superamento della società dello spettacolo, la sinistra tradizionale, i pensatori più o meno fiacchi, e quelli alla moda, e gli artisti che vantano proletarizazioni di facciata e il biglietto da visita con le gallerie più esclusive stampigliato in oro. La rivoluzione come contestazione globale, arte compresa, della vita quotidiana si deve allargare anche all’architetura e all’urbanesimo. Se i desideri verranno liberati ci sarà bisogno di una nuova geografia. Nei primi cinque numeri dell’Internationale Situationiste, che invito a rileggere e non solo i soliti classici citati di Debord o Vaneigem, ci sono progetti interessanti su come passeggiare senza oppressioni, itinerari creativi, nuovi immobili e perfino di città da edificare con un occhio al viver bello e libero.
La soggettività creativa se entra nella storia sul reattore rivoluzionario porta a una totale libertà dei desideri che non potranno abitare vecchie scenografie abitative o di comportamenti.

PROCESSO RIVOLUZIONARIO VECCHIO E NUOVO

Il movimento operaio tradizionale come poteva capire queste idee? E per tradizionale ci metto anche i gruppi della nuova sinistra italiana. Ricordo ancora quando i situazionisti francesi vennero a Pisa nel 1972: fummo allertati noi di Lotta continua e si diffuse l’idea che fossero provocatori fascisti!
Troppo sociologismo nel movimento operaio, accademismo, e professori universitari in cerca di allori. Poi sappiamo come sono finiti. In pensione nel pensiero di destra. O a scrivere biografie. Per i situazionisti la lotta del soggettivo allarga quanto di limitante c’era nell’antico concetto di lotta di classe (l’avrà capito Sanguineti ad esempio e tutto il gruppetto dell’ex Gruppo 63?) e soltanto così si arriva all’uomo totale, l’uomo che si riconcilia con se stesso. Però c’è da capire i gruppi dirigenti o gli iscritti alle organizzazioni tradizionali, i suggerimenti per questa nuova forma di lotta, anche estetica, vengono-venivano ai situazionisti non da economisti o filosofi, ma da autori maledetti ed utopisti: Sade, Fourier, Lewis Carrol, Rimbaud, Lautreamont. Insomma da un immaginario fortemente intriso di letteratura.
E difatti il situazionismo oggi sembra una extravagante forma di letteratura oscillante fra sogno e romanzo fantastico.


LA POESIA AL SERVIZIO DELLA REINVENZIONE DEI RAPPORTI SOCIALI

Intanto ribadiamo il concetto! la soggettività dell’uomo trova la sua soddisfazione liberante nel quotidiano e non nell’economico o nel politico. Questo fa saltare il cento per cento di ogni partito in circolazione in Italia. Come esempio. Accanto allo sfruttamento tradizionale individuato da Marx, e ne abbiamo accennato, c’è lo sfruttamento della creatività quotidiana. Mediocre. Grigia. Frustrante. Anche se specchiata nel tubo catodico o in una palestra rutilante corpi sudati. Per la vita totale c’è bisogno di una nuova forma di poesia. Rivoluzionare le strutture economiche avendo come obiettivo il compimento della poesia. La creatività può rompere le maglie di ogni repressione.
Il web oggi potrà aggiornare questa utopia?
Mi aspetto una risposta dai vari blog. Alcuni abitano antologizzati anche in TELLUSfolio, in Poesia & Blog.
Il traboccamento della soggettività, senza tanti ritorni ad un primitivismo da uomini nelle caverne, per i situazionisti, si ottiene con lo scatenamento del piacere e ha ancora come battito cardiaco le sgregolatezze del ragazzo di Charleville. Che ebbe in sorte di scrivere le Illuminations.


IL ’68 FRANCESE E L’ESTENUANTE DELUSIONE

Sarà il ’68 francese un tremendo banco di prova dei situazionisti. Esaltante per mesi ma poi l’illusione di un superamento del modello leninista o di un proletariato su binari non più economicistici si stempererà nella delusione. Sulle barricate, elegia per qualche film o racconto, per foto da diffondere in Italia destinate ad entusiasmare ragazzi sedicenni come me, ci sarà sicuramente l’illusione che le facoltà creatrici hanno la loro assoluta occasione: che la poesia verrà integrata nella vita quotidiana; in realtà la civiltà ludica non prenderà piede negli anni sessanta e nemmeno dopo. Anzi negli anni settanta soprattutto in Italia, ma anche in Germania non scherzeranno, ci sarà lo sviluppo di forme terroristiche di comunismo. E il mondo fino al 1989 sarà raggelato dal marxismo ossificato sovietico e dagli adepti occidentali. La nuova sinistra italiana ripercorrerà tutti gli schemi più o meno storici del bolscevismo poi diventato maoismo o trotschimo di ritorno.
E anche a livello di lotta contro la produzione capitalistica nessuno raccoglierà l’invito situazionista a riconoscere nel lavoro produttivo una delle valenze del mantenimento dell’ordine. A Parigi nel ’68 lessi la scritta “Evitate il lavoro che vi avvita” o forse diceva imbullona. Gioco diparole e dissacrazione. Tipica del situazionismo. Figlia forse anche dei supermercati aperti a notte e delle nuove tipologie di vita senza fissa dimora, ma voce isolata: il lavoro restava saldamente nelle mani dei sindacati e delle varie confindustrie.
E, spento il Maggio, sconfitti saranno non solo le utopie radical-comuniste dei situazionisti, ma anche i Rimbaud più o meno redivivi in tante rivistine ed happening, che volevano ogni allargamento dei desideri. Ultimo, e non sopito merito del situazionismo, (diventato un forziere per suggerimenti utopistici in cerca di realizzazioni più o meno estetiche) è il richiamo ad elementi irrazionali. Tradizionalmente appannaggio del pensiero di destra. L’irrazionalismo può essere impugnato dalle avanguardie politiche comuniste e poi sommarci gli addendi di gioco e lavoro, e poi ancora saldare la vita pubblica e privata (echi ci furono nel 77), tanto da produrre la cresta fiammeggiante dell' utopia come metodo di esplorazione. Ma vedete com'è facile l'urlo provocatorio majakovskijano tipico di ogni avanguardia. Dopo si si risveglia con la coda fra le gambe e la voce arrochita e le carte dei programmi rivoluzionari buone per incartare il guaito verso la luna indifferente. Sarà l'emblema della vanitas?
Tutti questi elementi non hanno trovato mani per raccoglierli. E nonostante tecnologie e web possano fare da veicolo a un rinnovamento situazionista, siamo ancora nel campo delle ipotesi. Intanto restiamo, io lo faccio anche per vocazione al disincanto virile, mi resti Foscolo al fondo di tutto?, a contemplare il mondo espropriato dai nostri desideri, a veder l’arte sempre più mercificata: ora nei supermercati delle aste, e ogni pensiero realmente rivoluzionario non ha più un soggetto storico che lo faccia respirare.


Claudio Di Scalzo: Comunicazione tenuta alla LABA, Libera Accademia di Belle Arti di Brescia, Martedì 20 marzo 2007, alle ore 16,00, in occasione della presentazione del libro “Lettrismo e Situazionismo” (Edizioni Peccolo, Livorno).




  

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